Una lettura complessa, l’opera di Giulio Giorello, Vittorio Sgarbi, edito da La Nave di Teseo + (2020), che si infila dentro alle credenze spirituali di ciascuno, mescola l’idea di Dio con l’amore per l’arte, senza perdere di vista il fondamento scientifico delle idee. Pensieri articolati, filosofici, difficili da trasferire alla vita di tutti i giorni, ma alternati a immagini di capolavori che testimoniano l’esistenza di Dio, o forse solo di un talento che riesce a connettere il cielo e la terra, dove per “terra” si può intendere la natura di Spinoza, la natura così scientificamente indagabile.
C’è da riflettere, anche su se stessi. Io sono per questa seconda ipotesi di un talento terreno che si fa spirituale, poco Dio creatore, molto uomo, terreno, artefice di se stesso, anche della sua arte, che però sa raccontare anche qualcosa che invece terreno non è, non solo.
In questa difficile lettura, un concetto emerge semplice e chiaro: l’arte rende gli artisti immortali, perché traslano se stessi nelle loro opere: l’ateo Leopardi non è morto, “la sua anima è dentro l’infinito”.
Ed anche emerge il potere terapeutico e soprattutto salvifico dell’arte, come evidente nel noto episodio della Resurrezione di Piero della Francesca: Sansepolcro stava per essere distrutta dai bombardamenti inglesi, ultimo tentativo di cacciare i tedeschi. Il capitano Anthony Clarke passava di li e incontrò un bambino, al quale il capitano chiede se c’è qualche tedesco nei dintorni. Il bambino deve aver risposto: tedeschi no, non so, però c’è l’affresco di Piero della Francesca. Il capitano con un flashback tornò a quando era studente, quando studiò che Aldous Huxley definì proprio quel dipinto “il più bello del mondo”. Fu così che Sansepolcro, la resurrezione, il bambino e tutto il resto furono salvati, non grazie a Dio, ma a qualcosa che è “come Dio”: l’arte
Scienza e arte non sono in concorrenza: sono la testimonianza che l’uomo ha in sé una divinità in cui andrebbe cercato il senso di Dio.
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