Che tu sia per me il coltello è un libro del 1998, scritto da David Grossman (l’autore di Qualcuno con cui correre).
Un uomo, Yair, scorge in un gruppo di persone una donna che lo colpisce nell’anima e comincia a scriverle, una vera e propria scrittura terapia sotto forma di lettere indirizzate alla donna, lunga tre quarti di libro, in cui l’uomo si rivela nel profondo, tralasciando in parte la quotidianità, spesso costruendo storie e immaginazioni che però sono reali nella misura in cui parlano esattamente di quello che l’uomo prova.
L’ultimo quarto del libro è dedicato invece alle parole di lei, che rendono chiaro il motivo per cui l’uomo si è lasciato trasportare dalla sua immagine e ha preso a scriverle: lei, Myriam, è una donna meravigliosa, lei è intrisa di sofferenza e coraggio, lei, con la sua semplicità e autenticità, è davvero il coltello con cui Yair scava dentro di sé per far emergere i lati bui e guarirli.
Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.
Che tu sia per me il coltello è un romanzo epistolare unico nel suo genere, intimistico, immaginativo, curativo nella scrittura ma anche nella lettura.
Leggendolo, infatti, mi è venuto in mente Proust che diceva:
Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.
Non ho amato molto il personaggio di Yair, anzi mi ha a tratti addirittura indispettito. Mi sono domandata cosa ci fosse in lui a darmi così fastidio, ho riflettuto molto su me stessa e mi sono data delle risposte, seguendo la tecnica di marzulliana memoria.
Concludendo, il libro non mi è piaciuto molto, nonostante sia uno dei libri meglio recensiti, ma è stato davvero terapeutico, è stato letteralmente un coltello con cui scavare e tirare fuori emozioni e comprensioni, una vera e propria libroterapia scritta in forma evocativa, ricca di suggestioni emotive.
“Ti prego solo di non andartene, perché se te ne vai ora non fai più ritorno. Fuggirai oltre i confini del mondo e non vorrai ricordarti di quello che è iniziato qui, tra me e te, quando l’anima si apre così, lentamente e con dolore, verso un’altra persona. Non smettere di scrivere, aggrappati alla penna con la forza che ti è rimasta. Stai tremando per lo sforzo, ma continua a scrivere, affondando in me le tue radici. Non avere paura. Nemmeno di quel pensiero che hai fatto un milione di anni fa, o due giorni fa, quando avresti voluto risvegliarti senza memoria, dopo un incidente o un intervento chirurgico, ricordando a poco a poco, la tua storia e la mia per raccontarla a te stesso, dall’inizio senza sapere, nemmeno per un momento, se in quella storia tu sei l’uomo o la donna. Vorrei che tu potessi ricordare come ci si sente quando si è donna, e come ci si sente quando non si è né uomo né donna. Solo “essere”, prima di tutto, prima delle definizioni, dei pronomi personali, delle parole e dei generi. Forse in questo modo, potresti anche arrivare, quasi per caso, alla possibilità primordiale di essere me.”