Storia di Irene è un racconto di Erri De Luca (2013) composto da tre storie.
“Irene è una bambina salvata in mare dai delfini cresce orfana su un’isola greca. Si chiama Irene, di giorno vive in terraferma, di notte si unisce in mare alla sua vera famiglia. A quattordici anni è incinta e consegna a uno straniero di passaggio la sua storia.”
“Il cielo in una stalla è la storia di cinque uomini, tra cui il sottotenente degli alpini Aldo De Luca, padre dello scrittore, che riescono a scampare alle rappresaglie tedesche dopo l’8 settembre 1943, si trovano in una stalla e cercano di salvarsi attraversando il mare che divide Sorrento da Capri.”
“Una cosa molto stupida è la storia di un vecchio, magro magro, senza denti, malato, mal tollerato dalla famiglia, che sgattaiola fuori dalla casa, malgrado il freddo vento dell’inverno, e va a cercarsi un posto riparato davanti al mare. S’è messo in tasca una mandorla e ora la apre e se la infila, beato, in bocca come un’ostia. Ricorda, a occhi chiusi, quando fu salvato dalle acque, in tempo di guerra, e restituito alla vita. Per quella vita vissuta è tempo di ringraziare per poi lasciarla sfuggire dalle labbra.”
Sono tre storie di mare secondo la visione poetica e lirica di Erri, dietro ad ognuna delle quali, come sempre, c’è molto di più, un sacco di roba che non è comprensibile subito, non se ci si ferma alla storia, ma solo se ci si immerge nel mare, come Irene, solo se si è disposti a credere alle storie, al linguaggio dei delfini, al cielo che rassicura quando si è chiusi in una stalla.
Un sacco di roba, dicevo.
Il mare che è più giusto della terra, più onesto e più pulito, la condivisione e la fratellanza, l’ingiustizia della guerra raccontata nel modo meno scontato che si può immaginare (e la salvezza che ancora una volta viene dal mare), la solitudine, la malinconia di una vita lunga che si appresta a terminare e non c’è salvezza se non di fronte al mare.
Storia di Irene mi ha lasciato un sacco di malinconia, è uno di quei libri che si leggono con dolore e insegnano che la speranza va coltivata con fatica, non è esattamente un libro da ombrellone, magari vale la pena aspettare l’autunno per leggerlo, così ci si ricorda del mare e si aspetta l’inverno con speranza, perché nonostante il dolore le tre storie sono ricche di speranza.
E’ un libro che ricorda che se uno non ce l’ha il cuore di pietra non ci può fare niente.
Se lo deve tenere sanguinante, ma meglio il sangue e le emozioni che l’immobilità e la superficialità.
L’ho scritto mai che sono pazza di Erri De Luca?
Giuliana
La nostra specie umana ha bisogno di storie per accompagnare il tempo e trattenerne un poco. Così io raccolgo storie, non le invento. Vado dietro la vita a spigolare, se è un campo, a racimolare, se è una vigna. Le storie sono un resto lasciato dal passaggio. Non sono aria, ma sale, quello che resta dopo il sudore.
“Non credi al creatore dell’universo e dai retta a chi ti racconta una storia”. E’ così, le dicevo, però per credere a una storia devo pure credere alla voce, agli occhi che la pescano svariando nel ricordo, ai piedi che non possono mentire. Credo a una persona tutta intera mentre racconta, riferisce, dice. Se stona in qualche punto del corpo, me ne accorgo e smetto.