Ieri sera ho finito di leggere “Kafka sulla spiaggia”, di Murakami.
Stanotte ho sognato bambini di quattro anni abbandonati dalle madri, cuori di gatti pulsanti mangiati da uomini con cappello a cilindro, biblioteche rassicuranti e rumori di tacchi inquietanti, sorelle, vecchietti, amici né uomini né donne. Poi ho preparato lo zaino con acqua, coltello e vernice gialla e mi sono addentrata nella foresta, che altro non era che il labirinto della mia anima, e mi sono persa.
Due soldati giapponesi della seconda guerra mondiale erano lì ad aspettarmi e a chiedermi, cosa vuoi fare? Entrare in questo mondo surreale, perdendo il tuo nome, i tuoi affetti, le bibite gassate e i libri, proteggendo il cuore dalle paure e dai dolori, oppure tornare indietro e essere in balia delle tempeste, col rischio del tuo cuore in frantumi, ma conservando i libri, le persone a te care e il tuo nome?
Si, torno indietro, grazie, alla mia vita, mi chiamo Giuliana, non ne voglio sapere nulla della pietra dell’entrata, mi piacciono i sassi della Cascata, non posso fare a meno dei libri, anche di quelli che mi fanno fare giri assurdi nel labirinto che ho dentro.
In fondo “Sono al sicuro nel contenitore del mio io. I bordi coincidono perfettamente: un piccolo clic e scatta la serratura. Così va bene. Sono nel mio rifiugio di sempre.”
