Certe letture a volte fanno salire un grande struggimento d’animo.

Ci si identifica tanto con il protagonista, talmente bene sono descritti i suoi sentimenti così simili ai nostri, che si finisce per soffrire con lui.

E’ bellissimo e doloroso Il deserto dei tartari.

Il protagonista, Giovanni Drogo, è un ufficiale che prende servizio in una remota Fortezza di confine, situata tra i monti e confinante a Nord con un gigantesco deserto, quello dei tartari, appunto.

La Fortezza Bastiani ha proprio la funzione di sorvegliare il deserto del Nord, dal quale i tartari non arrivano più da tanto tempo (anzi, forse non sono mai arrivati, forse sono un popolo costruito da miti, mai esistito davvero).

La Fortezza li aspetta e quest’attesa contagia come una malattia tutti i soldati di stanza presso di essa.

Tutti i soldati, Drogo compreso, prendono infatti servizio alla Fortezza sicuri di rimanere solo qualche giorno, poi, affascinati dal deserto del Nord, fiduciosi che tanto c’è tutto il tempo per realizzare i propri progetti di vita, restano altri quattro mesi.

Ma quattro mesi sono già troppi, durante questo tempo la Fortezza li fa “dimenticare degli uomini” e li contagia con il sentimento dell’attesa, che in questo caso è attesa dei tartari (cominciano a venire alla mente del lettore delle domande: io cosa sto aspettando? cosa sto facendo, nel frattempo?).

Si aspetta, assorbiti dai rituali meccanici della quotidianità, tanto c’è tempo per tornare alla vita normale e realizzare tutti i propri sogni.

Il tempo c’è, è vero, ma passa veloce.

Quattro mesi diventano quindici anni che non si notano affatto a guardare le mura immutabili della Fortezza e le immobili montagne, ma si vedono eccome a guardare il volto e il corpo invecchiati di Drogo.

Drogo, ammalato, viene allontanato dalla Fortezza proprio mentre arrivano genti dal Nord.

Non è servito a nulla rinunciare al proprio tempo per aspettare l’occasione di tutta la vita. Tempi migliori non verranno in futuro, il tempo giusto è adesso, non si può più aspettare.

E’ la lettura giusta per chi tende a procrastinare, per chi dice “vedremo”, per chi ha una incrollabile fiducia nel futuro e nel frattempo non muove un dito per realizzare i suoi sogni.

La propria idea di futuro va costruita attimo per attimo, con sforzo, responsabilità, scelte consapevoli.

Il deserto dei tartari è un libro grandioso che parla “dell’irreparabile fuga del tempo”, così efficacemente raccontata dalla descrizione delle strisce di sole proiettate sui tappeti e sui muri che si muovono e, passano, indicando il tempo in fuga, o delle stelle che si muovono nel riquadro della finestra, che, col tempo, non si vedono più.

Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro. “Ferma, ferma!” si vorrebbe gridare, ma si capisce che è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento, ma non si ferma mai.

Il deserto dei tartari, Dino Buzzati, 1940

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Giuliana

 

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