Ho portato questo libro, Canto della pianura, di Kent Haruf, in settimana bianca.
All’inizio non sapevo cosa stavo leggendo, storie senza legami, bambini soli, vacche e adolescenti incinte, unico comune denominatore una specie di malinconia che mi scendeva addosso nel momento delle mie tanto desiderate ferie.
Poi all’improvviso la contea di Holt è diventata la protagonista , di tante storie ne è rimasta una sola, ho amato ciascun protagonista come uno di famiglia, ho letto senza pause nel viaggio di ritorno e quando il libro è finito, è finito anche il viaggio ed è finita la vacanza.
La bellezza è malinconica, accidenti.
Quel tono a metà tra rassegnazione, tristezza e bellezza lo avevo già conosciuto in Le nostre anime di notte. E pure tanto amato.
Continuerò a leggere gli altri due libri della trilogia di questo autore dallo stile sommesso e sconvolgente, nel vortice della quotidianità che non mi fa respirare, in cui però dovrò trovare il coraggio di mettere punti, andare a capo, tornare ad Holt, fare viaggi mentali.
